L’ Associazione

Il Nostro Impegno Una Sfida

La nostra storia

Nel 2013 L’Associazione Donne La Rosa ha partecipato al bando, promosso dal Comune di Città della Pieve, per costruire un punto d’ascolto, che abbiamo chiamato R.O.S.A. Rete Operativa Sostegno Antiviolenza, nel comune di Città della Pieve: l’impegno era quello di contribuire ad ampliare la rete di aiuto a far cessare la violenza degli uomini sulle donne, sostenere le donne nel loro percorso di uscita dalla violenza in collaborazione con il CAV (Centro Antiviolenza) di Perugia, di Orvieto e di Chianciano, e di sostenere attività di prevenzione e di sensibilizzazione per un cambiamento culturale.

A seguito di questa esperienza, che ha coinvolto in un percorso di crescita qualitativa e quantitativa le nostre operatrici, e dopo aver registrato un considerevole aumento di richieste di aiuto non solo nel nostro comune ma anche nella zona del Trasimeno, in collaborazione con L’Unione dei Comuni abbiamo accettato l’impegno di diventare un CAV.

II Centro Antiviolenza Maria Teresa Bricca

L’ esperienza delle donne che hanno frequentato e frequentano i Centri Antiviolenza ci dice che IL MALTRATTANTE agisce mettendo in atto strategie: si tratta di comportamenti finalizzati ad imporre potere e controllo nelle relazioni di coppia attraverso atti di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica.

La Comunità Internazionale con la Convenzione del Consiglio d’Europa (sottoscritto ad Istambul 11/05/2011 e che è primo documento giuridicamente vincolante volto a creare un quadro legislativo sulla violenza di genere) afferma che si tratta di una violazione dei diritti fondamentali, la cui responsabilità ricade su chi esercita la violenza e non su chi da questa viene colpito.

Maria Teresa Bricca

Maria Teresa era di Città della Pieve. Una giovane donna intelligente, amante della lettura, sensibile alla causa dei più deboli (come la ricorda lo zio Benito Verdacchi). Al conseguimento del diploma, rifiutò l’offerta di lavoro del Monte dei Paschi di Siena e scelse di andare a vivere a Città di Castello accettando il posto di segretaria in un istituto scolastico dell’Alta Val Tiberina. Molto vicina agli ideali di ispirazione sessantottina, di libertà e emancipazione delle donne che la portarono, verso la fine della sua breve vita, ad iscriversi al Partito Comunista. Una breve vita che si spense violentemente il 14 ottobre del 1977. Per una giovane donna di quegli anni, Maria Teresa aveva fatto la scelta coraggiosa di andare a vivere da sola in un monolocale situato in una palazzina di tre piani. Quell’infausto 14 ottobre, il co-inquilino del terzo piano, un boscaiolo sui 28 anni, bussò alla sua porta per chiederle di aiutarlo a fare certi conteggi delle ore di lavoro che lui, disse, non riusciva a fare. Maria Teresa si prestò di buon grado ma non riuscì a terminare la moltiplicazione che l’operazione matematica richiedeva che il boscaiolo l’aggredì con lo scopo, secondo le ricostruzioni, di violentarla. Maria Teresa reagì con sdegno alla violenza del bruto, il quale la colpì a pugni al volto e alla gola. Maria Teresa si barricò allora nel bagno ma il carnefice, che si era munito di un cric, sfondò la porta e la raggiunse, sbattendole la testa sul lavandino più volte. Seconda la ricostruzione, il boscaiolo sarebbe poi fuggito, lasciandola agonizzante. Maria Teresa morì circa 36 ore dopo. Aveva solo 25 anni. Il suo corpo fu trovato due giorni dopo grazie alla segnalazione delle bidelle della scuola insospettite dall’assenza non comunicata della segretaria.

Il boscaiolo, che mai ammise l’orrore commesso, fu sottoposto a perizia psichiatrica e fu dichiarato “abnorme psichico e psicopatico” ma capace di intendere e di volere. L’accusa invitò con forza a non prendere in considerazione le attenuanti della perizia psichica e chiese l’ergastolo. I giudici lo condannarono in secondo grado a 24 anni di detenzione.

(fonte:Prima Pagina online)